uesta a peccar con esso così venne. Dissemi: «Qui con più di mille giacqui con lo mio sposo ch'ogne voto accetta.
A tanta altezza non è maraviglia s'io m'intuassi, come tu t'inmii. E come specchio l'uno a l'altro rende,
sì che, guardando verso lui, penètri ad artigliar ben lui e amendue. Fai di noi centro e, di te, fai corona
la sposa di colui ch'ad altre grida, voci m’ha messa!». Dicea: «Surgi e vieni: ché, s'amore è di fuori a noi offerto,
ti torrà questa e ciascun'altra brama: mira quel cerchio che più lì è congiunto; e sappi che 'l suo muovere è sì tosto
che mai da circuir non si diparte perché si fa, montando, più sincero. Se li suoi diti non sono a tal nodo
sufficienti, non è maraviglia: l'animo mio, per disdegnoso gusto, produce e spande il maladetto fiore».
Tosto che questo mia segnor mi disse, da questo passo vinto mi concedo per l'affocato amore ond'ella è punta.
Per l'altrui membra avviticchiò le mie:l e natiche bagnava per lo fesso e per colui che 'l loco prima elesse.
Ed ella a me: «Però: che tu rificchi qui, e altrove, quello ov'io v'accoppio». E io li sodisfeci al suo dimando
e sì tutto 'l mio amore in lui si mise. Tali eravamo tutti e tre allotta. Così quel lume: ond'io m'attesi a lui,
poscia rivolsi a la mia donna il viso, e quinci e quindi stupefatto fui... Poscia ch'io l'ebbi tutta da me sciolta,
porsila a lui aggroppata e ravvolta. Quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi, l'altro prendea e dinanzi l'apria.
I’ andava col sol novo a le reni e in dietro venir a el convenia pur a quel ben ferire ond'ella è ghiotta.
Salvo che, mossa da lieto fattore, co’ l'uccel ch'a cantar più si diletta, anzi 'l primo pensier del suo venire,
noi pur venimmo al fine in su la punta.